Maria, solida contadina, va in città in visita alla figlia e scopre una serie di realtà scomode, inquietanti, drammatiche: sfacelo della famiglia, adozione di mode straniere, culto dissennato delle arti marziali. Pur con risvolti di tagliente umorismo, è un viaggio attraverso l'Unione Sovietica dei primi anni '80, raccontata come un mondo infiacchito che ha perso il gusto di vivere e la saldezza dei vecchi ideali. Anticipatore.
Nel 1936, dopo dieci anni, Mitja (O. Men?ikov) torna nella dacia dov'è cresciuto e dove vive Marusja (I. Dapkunaite), da lui sempre amata, oggi moglie di un eroe della rivoluzione, il colonnello Sergej Kotov (N. Michalkov). Nessuno sa che lo scopo del ritorno di Mitja, entrato nella polizia segreta, è di arrestare l'amico Kotov, bersaglio di una delle tante purghe di quegli anni terribili. Scritto dal regista con Rustam Ibragimbekov, girato con un accademismo di alta scuola, ridondante di una liturgia romantica molto russa e molto teatrale, il film ha l'ambizione di introdurre, concentrando l'azione drammatica nel giro di una domenica estiva, la violenza della Storia in un'atmosfera neocechoviana di struggente dolcezza nostalgica: la famiglia allargata, la dacia, l'isba, l'ansa del fiume, la foresta di betulle. Ma il sole ingannatore è soltanto quello di Stalin – il cui gigantesco ritratto, sollevato da un dirigibile, oscura il cielo – oppure è anche la rivoluzione stessa che, meno di vent'anni dopo il 1917, ha rivelato il suo vero volto? 10 anni prima sarebbe stato un film eversivo. Nel 1994 il film più politico di Michalkov è anche il più nostalgico, suggerendo il rimpianto per il passato zarista. 2° premio al Festival di Cannes e Oscar per il miglior film straniero.
Un eroe militare della rivoluzione bolscevica, ormai in ritiro; un giovane ex controrivoluzionario da anni al servizio della polizia politica sovietica e già responsabile dell'uccisione di otto dei suoi; una ragazza bella, moglie dell'uno ed ex innamorata dell'altro; una incantevole bambina figlia dell'eroe e della ragazza, vitale, petulante, inconsapevole e facile da sedurre come tutti i giovanissimi; un gruppo di vecchi nostalgici del passato pre-rivoluzionario. Sono i personaggi, simbolici eppure del tutto realistici e credibili, raccolti in una bianca villa tra gli alberi in un giorno radioso d'estate: è l'estate del 1936, l'anno in cui i processi voluti da Stalin portarono a morte l'elite militare e rivoluzionaria dell'Urss divenuta ingombrante per il dittatore; ogni tanto, come un'apparizione fantascientifica o tarkovskiana, un globo di luce infuocata attraversa le stanze e il paesaggio. Dedicato "a tutti quelli che sono stati bruciati dal sole ingannatore della rivoluzione", vincitore del Gran premio della giuria all'ultimo festival di Cannes, il film di Nikita Mikhalkov è davvero grande, ricco di vita, di sensualità, d'energia e di bellezza, capace di raccontare insieme tragedia politica e drammi personali, capace di narrare la degenerazione totalitaria attraverso i sentimenti, mescolando la violenza dei fatti e la dolce malinconia cechoviana delle atmosfere, la realtà sovietica e la letteratura russa. Un film raro, recitato benissimo dallo stesso regista che è l'eroe, dalla sua figlia più piccola Nadia, da Oleg Menchikov che è il poliziotto. Nessuno sa che il giovane è venuto per arrestare l'eroe, destinato come tanti altri all'eliminazione. Nell'assolata felice giornata domenicale, la sotterranea rivalità tra i due uomini si manifesta durante gli svaghi famigliari, le canzoni, i bagni nel fiume, la partita di pallone, i pasti. Parallele ai divertimenti privati, si svolgono le pubbliche attività: festa "in onore dei dirigibili di Stalin"; esercitazioni "contro l'idra dell'imperialismo mondiale", con le maschere antigas che simbolicamente rendono le persone tutte uguali e tutte disumane; cerimonie dei bambini organizzati nei Pionieri, educati a venerare l'eroe rivoluzionario già rinnegato dalla politica. Un camionista, emblema del popolo sovietico, sin dal mattino gira alla cieca chiedendo senza ottenere risposte in che punto si trovi e quale direzione debba seguire, finché a sera verrà ucciso stupidamente, crudelmente. Al tramonto, l'eroe viene portato via dall'automobile nera della polizia politica, mentre nel cielo s'innalza il ritratto di Stalin e rifulgono i bagliori del sole calante; tra i due uomini, il rivoluzionario divorato dalla rivoluzione e il controrivoluzionario reso infame dalla paura, nessuno sopravvivrà. Nonostante qualche autoindulgenza, Mikhalkov è un grande narratore, forte, profondo, affascinante: alla riuscita del film contribuisce assai il suo fascino d'interprete bello e paziente, seducente, eroico e paterno.
Da La Stampa, 28 Dicembre 1994
Romano è un uomo che, dopo aver mentito una volta, non può più fermarsi. Quando gli arriva l'occasione in cui la felicità dipende solo dalla sua capacità di aver fiducia nel prossimo, non può farlo e la felicità gli sfugge. È una commedia divertente ma anche commovente, malinconica, ironica. Come dev'essere ?echov. Ammirevole per varietà di toni, ricchezza di invenzioni, direzione di attori. È l'ultimo film della Mangano. Squisita. Premio a Cannes per M. Mastroianni. Scritto dal regista con Alexander Adabascian (anche scenografo) e S. Cecchi D'Amico.
“La Signora col cagnolino”, il personaggio di Cechov già portato sullo schermo dal sovietico Kheifiz nel 1960, torna a passare le acque in una stazione di cura. Anziché a Yalta, stavolta a Montecatini. È il 1903. Vestita di bianco, bellissima e fragile, col suo volpino al guinzaglio, Anna manda in estasi il gaudente Romano, venuto alle terme per riprendersi dalla fatica di non lavorare. Sposato da molti anni con una ricca, Romano ha sinora affogato nel più pigro benessere, blando amante d'un'amica di famiglia, la giovanile ambizione di fare l'architetto. È un uomo simpatico, un allegro commediante. Come può essere che, dopo una sola notte d'amore, non sia riuscito a togliersi di mente quell'Anna che l'indomani mattina, vinta dal rimorso, partì lasciandogli una lettera d'addio?
Cotto come un ragazzo, Romano finge un viaggio d'affari in Russia e la raggiunge a Sisoiev, dove la trova sposa d'un vecchio governatore vanitoso. Giacché è la prima volta che un occidentale mette piede in quella cittadina dicendo di volervi impiantare un'industria, Romano è accolto con grande esultanza, e portato in trionfo quale ambasciatore del progresso, ma Anna è terrorizzata dall'idea di rivederlo, ora che pensa di essere rientrata nell'ordine coniugale. Quando l'inevitabile incontro accade (i due si riabbracciano in un pollaio...) l'amore infatti torna a travolgerli. La donna è sincera: manterrà la promessa di staccarsi dal marito e di aspettare che Romano torni a prenderla. Rientrato a casa, invece, ancora una volta per pigrizia l'italiano l'abbandona al suo destino. Che cosa gli resta di quell'avventura? Se lo chiede, otto anni dopo, conversando con l'anziano signore russo, un commerciante in viaggio di nozze, incontrato casualmente su una nave che attraversa il Mediterraneo. E l'uomo lo sta a sentire, incuriosito, soprattutto sdegnato di come Romano si è comportato con quella donna. A lui invece non è mancata la costanza: ha dovuto insistere per anni, ma finalmente la sua amata ha accettato di sposarlo...
Per non togliere la sorpresa vi risparmiamo il finale. C'è già quanto basta, speriamo, per farvi venire l'acquolina in bocca sapendo che Romano è un Marcello Mastroianni d'annata, impagabile nel ritratto di quell'italiano indolente e vigliaccone, al più capace di commuoversi sui propri rimorsi sepolti (gli sta a pennello il premio assegnatogli a Cannes fra caldissime ovazioni), Anna è la splendida Elena Sofonova per i cui occhi faremmo pazzie, la moglie di Romano è una Silvana Mangano tornata sullo schermo in gran forma, Tina, l'amante italiana, è la brava e bella Marthe Keller, e il viaggiatore russo è il grande attore Vsevolod Larionov.
Scritto da Alexander Adabascian col regista e Suso Cecchi d'Amico, che si sono ispirati anche ad altri racconti di Cechov (Anna al collo, L'onomastico, La consorte), fotografato benissimo da Franco Di Giacomo, servito a puntino dalle scenografie dello stesso Adabascian e di Mario Garbuglia, nonché dalla musica di Francis Lai (più Mozart, Rossini, Johann Strauss, Lehar e canzoni gitane), Oci ciornie - “Occhi neri” in russo - è un film italiano baciato dalla fortuna d'avere per regista il sovietico Nikita Michalkov. Venuto per la prima volta a girare all'estero, l'autore di Schiava d'amore, di Partitura incompiuta..., di Oblomov - e citiamo soltanto le opere più note - firma infatti uno spettacolo via via esilarante, lussuoso e struggente. Che qua e là riecheggia Visconti e Fellini, ma soprattutto sa fondere con grande vivacità l'ironica mestizia di Cechov e la squillante festosità della satira (con qualche graffio ai burocrati, per tirare le orecchie anche ai russi di oggi) in una gradevolissima commedia, a suo modo, all'italiana.
“Occhi neri, occhi appassionati... io vi vidi in un'ora cattiva”, dice la canzone che dettò a Cechov Champagne. Su quell'onda di elegia Michalkov sorride, ma da bravo slavo nasconde lacrime nello scherzo. Ha in Mastroianni un interprete ideale, per quel tanto di Oblomov che c'è in lui (e anche Marcello, come Romano, voleva fare l'architetto...); geme sul ricordo degli amori spezzati e la fuga del tempo, e col finale sberleffo ci mette al riparo dalla commozione. È un vero benefattore.
Da Il Corriere della Sera, 11 ottobre 1987