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Ragazzi in cammino (2018)

Venerdì 7 dicembre 21.30

Hjartasteinn

Regia di Guðmundur Arnar Guðmundsson. Un film con Søren Malling, Nína Dögg Filippusdóttir, Gunnar Jonsson, Sveinn Ólafur Gunnarsson, Nanna Kristín Magnúsdóttir. Islanda, 2016, durata 129 minuti.

Sottotitolato in italiano

 

UN FILM DALLA FORZA MAGNETICA, CHE NON SI PIEGA ALLA RETORICA E RACCONTA L'AMORE PURO, QUELLO NASCOSTO E INDIMENTICABILE

 

Queer Lion alla 73. Mostra del Cinema di Venezia e in concorso al Lovers Film Festival di Torino, Heartstonedi Guðmundur Arnar Guðmundsson é un malinconico racconto di scoperta. Perché i protagonisti Thor e Christian scoprono, o meglio, iniziano a percepire la propria sessualità mentre la natura del piccolo centro islandese fa da padrona, madre e matrigna di una società ancora troppo cieca per accettare il fiorire di una sessualità "diversa". I due ragazzi sono innanzitutto due amici, trascorrono l'estate passando molto tempo insieme, iniziano a corteggiare due coetanee, affrontano i drammi familiari. Ma in Christian, più maturo e consapevole del candido Thor, esplode il desiderio di essere libero, di non fingere più e trattenere gli sguardi e i gesti verso il suo amico.

Recensione di Andreina Di Sanzo

 

 

Venerdì 14 dicembre 21.30

KING JACK

 Un film di Felix Thompson. Con Charlie Plummer, Cory Nichols, Christian Madsen, Danny Flaherty, Erin Davie Chloe Levine, Richardson Elijah, Keith Leonard, Scott LeRoy, Meeko, Melvin Mogoli, Elijah Richardson, William Rubel, Divitto Tony, Yainis Ynoa Avventura, durata 81 min. - USA 2015.

 Sottotitolato in italiano

 

L'AMBIENTE E LE PERSONE OSTILI, NON ANNULLANO LA RICERCA DELLA FELICITÀ.

 

Jack (Charlie Plummer) ha perso il padre e vive con la madre e il fratello maggiore in un quartiere depresso della periferia americana, un territorio dominato da Shane (Danny Flaherty), un bullo spietato, e dai suoi scagnozzi. Tormentato dalle angherie di Shane, in difficoltà con le ragazze e con la scuola, Jack si ritrova suo malgrado a dover accudire il cuginetto Ben (Cory Nichols), che si trasferisce a casa sua. Tra i due inizia a nascere un’amicizia, ma la cruda violenza di Shane incombe su entrambi.

 

La vicenda si snoda tra gli stretti confini del mondo limitato di Jack: la scuola, la casa di legno dalle porte che si aprono con una spallata, il parco e le quattro strade del quartiere sono il terreno di caccia della banda dei bulli, che non si limita alla derisione ma infierisce sulle vittime con ogni genere di violenza fisica. Violenze che il regista mette in scena crudamente e ripetutamente, dipingendo una realtà senza scampo, dove il degrado sociale e culturale sembrano impedire anche solo di immaginare scenari e futuri diversi. L’unico rifugio di Jack è il ricordo dell’infanzia con il padre, quando giocava ad essere il re della casa e del mondo, ma l’arrivo di Ben lo costringerà a fare i conti con la realtà e a decidere se continuare a vivere sottotraccia o prendere invece il coraggio a due mani.

 

Primo lungometraggio del regista, il film procede in un’atmosfera soffocante e priva di luce, senza riuscire a trovare chiavi di approfondimento o suggestioni che diano uno spessore diverso alla ripetitiva riproposizione delle angherie della banda di Shane. Thompson non riesce a trasformare il suo racconto in una vera storia di formazione: confina in secondo piano anche lo spunto narrativo che dà il titolo al film, l’infanzia serena di Jack e la sua relazione con il padre perduto, e affida il suo messaggio ai pochi minuti delle scene finali. Tutto il peso della narrazione è dunque sulle spalle di Charlie Plummer e Cory Nichols, che si rivelano due giovanissimi attori molto sensibili, in particolare il piccolo Cory, che interpreta in maniera tenera e ironica Ben, un bambino che la vita ha reso molto più maturo della sua età. Nella sua crudezza, il film ha il pregio di indicare quali siano le più terribili conseguenze del degrado delle periferie, della privazione di punti di riferimento familiari e sociali, e della strisciante assuefazione all’omertà ed al silenzio, che altro non sono se non indifferenza e paura. E la paura e l’indifferenza uccidono 

 

Recensione di Poor Yorick

 

 

 

 

Venerdì 21 dicembre 21.30

LITTLE MEN

 Un film di Ira Sachs. Con Jennifer Ehle, Alfred Molina, Greg Kinnear, Talia Balsam, Andy Karl.  Clare Foley, Yolonda Ross, Michael Barbieri, Arthur J. Nascarella, Paulina García, Elia Monte-Brown durata 85 min. - USA, Grecia 2016..

Sottotitolato in italiano

 

IL VOTO DEL SILENZIO PER FAR FRONTE ALLE DISPUTE FAMILIARI

 

I bambini ci guardano. E ci giudicano. È un delicato, garbato, sussurrato ritratto di quella magica sospensione tra l’infanzia e l’adolescenza, il cine-romanzo di formazione (all’acquerello) Little Men di Ira Sachs, sensibile regista americano già Teddy Award per il verace Keep The Lights On. Qui torna all’analisi intima di un nucleo famigliare nello stile del precedente I toni dell’amore (Love Is Strange) ma questa volta dal punto di vista dei più piccoli, due ragazzini intorno ai tredici anni, la cui amicizia è messa in discussione dagli attriti fra le rispettive famiglie: Jake (Theo Taplitz, assai calibrato) è introverso e apparentemente fragile, forse gay, appassionato di arte figurative, mentre il suo amichetto Tony (Michael Barbieri, una vera rivelazione, a tratti posseduto da un’empatica affinità cinegenica che ricorda il primissimo Pacino) è più sbruffoncello e dinisibito, frequenta un corso di recitazione tenendo testa al carismatico docente vistosamente omosessuale e cerca di imporre la sua personalità dimostrando una sicurezza di sé più ‘costruita’ che reale.

I due si avvicinano, si ‘annusano’, si frequentano, si aiutano nello schivare il bullismo dominante a scuola e cercano di attraversare insieme quella complessa fase di formazione della coscienza di sé che Ira Sachs riesce a rendere sullo schermo, con un tratto paterno e non paternalistico, quasi zavattiniano, non indugiante nel didattico, a tratti persino poetico (la bellissima scena del ‘passaggio di consegne’ nel salotto, in cui Jake sembra comportarsi come il vero padre di entrambi, capace di fornire la soluzione più semplice ed efficace del problema famigliare). Sì, perché i due cerbiattini imberbi rischiano la separazione poiché i genitori di Jake hanno bisticciato con la madre di Tony, una sarta cilena – la bravissima Paulina Garcia, dolente al punto giusto – che vorrebbero far sloggiare dall’appartamento/atelier a piano terra, di loro proprietà, nel palazzo dove sono andati a vivere in seguito alla morte del nonno.

Little Men non ha ancora una distribuzione italiana – è stato presentato alla Berlinale nella sezione Generation Kplus dedicata a prodotti sul tema dell’adolescenza – ma la meriterebbe. (R. Schinardi, Gay.it)

 

 

 

Venerdì 28 dicembre 21.30

EASTERN BOYS

 

 

Regia di Robin Campillo. Un film con Olivier Rabourdin, Kirill Emelyanov, Daniil Vorobyov, Edéa Darcque, Camila Chakirova. - Francia, 2013, durata 128 minuti.

Sottotitolato in italiano

 

Corpi comprati. Corpi desiderati. Corpi amati. Robin Campillo, già montatore e sceneggiatore per Laurent Cantet alla sua opera seconda, costruisce una storia sull’evoluzione dei sentimenti concentrando i momenti cruciali del rapporto tra Daniel, un cinquantenne riservato, e Marek, un ragazzo dell’est Europa incontrato alla Gare du Nord, su alcuni loro momenti di sessualità. Che sono al principio dominati dal denaro e man mano sempre più dal sentimento. Marek è uno sbandato, Daniel se ne innamora fino a mettere in gioco la propria integrità fisica quando il ragazzo è minacciato dalla banda di cui ha fatto a lungo parte. Uno scambio lento, ma impossibile da fermare.

Ma non si faccia l’errore di pensare che Eastern Boys sia un film sull’omosessualità, sarebbe davvero troppo riduttivo. Campillo è interessato agli slittamenti del cuore, la storia tra Daniel e Marek un pretesto per raccontare come possono evolvere i sentimenti all’interno di una coppia, qualunque essa sia. Cambiamento che può escludere la sessualità per arrivare alla scoperta di un altro tipo d’amore. E quello tra i due protagonisti si spingerà infatti verso zone a loro sconosciute, unendoli alla fine in un legame padre figlio più forte di qualsiasi ostacolo. Con l’inatteso scarto finale, Campillo chiude emotivamente un’opera impeccabile, trattenuta nella messa in scena di evidente estrazione documentaria come nella recitazione degli attori principali. Olivier Rabourdin e Kirill Emelyanov sfoderano volti incredibilmente espressivi e non meno riescono, con estremo pudore, a far parlare la pelle. Come già ampiamente dimostrato da Garrel, i cineasti francesi possiedono un tocco speciale nell’analizzare le infinite forme dell’amore.

 

Fabrizio Del Dongo

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