In quanti modi può essere assediato un popolo?
…dalla prepotenza di un governo autoritario
…dall’aggressione di uno stato dominante
…dai pregiudizi e dall’intolleranza della religione
…da una maggioranza di censo, di razza, di cultura
…dal maschilismo
…dall’ignoranza
…dagli interessi economici di multinazionali rapaci
Cinemanemico apre le rassegne 2014-2015 riproponendo il tema “Popoli sotto assedio”. La sapiente scelta dei titoli fa sì che in questo bel ciclo al piacere di una bella visione, si uniscano la denunzia, la richiesta di attenzione, la voglia di conoscere, capire e solidarizzare nella speranza, che non dovremmo mai abbandonare, che con il tempo si riescano a interrompere le innumerevoli spirali di odio, violenza e sopraffazione che generano tanta sofferenza in ogni luogo del mondo.
Venerdì 3 OTTOBRE 21.30
PALESTINA
Omar
un film di Hany Abu-Assad, con Adam Bakri, Leem Lubany, Samer Bisharat, Iyad Hoorani, drammatico, durata 97 min. - Palestina 2013
Hany Abu-Assad ci offre una storia d’amore drammatica tra due palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana: si tratta di “Omar”, il primo film interamente finanziato dall’industria cinematografica palestinese.
Omaggiato da una standing ovation al Festival di Cannes, “Omar” è un thriller politico che si intreccia a una storia di fiducia e tradimento mentre due amanti si trovano divisi dalla polizia segreta israeliana e dai combattenti palestinesi che lottano per la libertà. Omar è un fornaio innamorato di Nadia, sorella del suo amico Tarek. Quest’ultimo è un combattente palestinese della Cisgiordania, a cui Omar si unirà dopo essere stato arrestato ed umiliato dalla polizia militare israeliana. La volontà di uccidere un soldato israeliano gli costerà l’imprigionamento, la tortura e il dover tradire i suoi amici per le troppe pressioni.
Venerdì 10 OTTOBRE 21.30
MAROCCO
Les chevaux de Dieu
(I cavalli di Dio)
un film di Nabil Ayouch, con Abdelhakim Rachi, Abdelilah Rachid, Hamza Souidek, drammatico, durata 115 min. - Marocco 2012
“Volate, cavalli di Dio” amava ripetere Bin Laden, strumentalizzando le parole del profeta Maometto per incitare alla guerra contro l’Occidente. L’autore franco-marocchino Nabil Ayouch, chiama il suo film Les chevaux de Dieu – presente nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2012 – perché ha scelto, coraggiosamente, di affrontare una pagina tragica di quella guerra che ha seminato terrore anche nel suo Paese e raccontare dei moderni cavalli di Dio, vittime anch’esse di quella strategia omicida.
Venerdì 17 OTTOBRE 21.30
BALCANI
Krugovi
(Cerchi)
un film di Srdan Golubovic, con Aleksandar Bercek, Leon Lucev, Nebojsa Glogovac, drammatico, durata 112 min. - Serbia 2013
La pellicola, caratterizzata da una fotografia perfetta e sofferente, ispirata alla vera storia di Srdjan Aleksić, ragazzo serbo ammazzato di botte a Trebinje nel 1993 da soldati serbi, nel tentare di proteggere un amico musulmano, esplora le conseguenze del gesto, e come esso abbia segnato la vita dei suoi protagonisti a vent’anni di distanza. Ad intrecciarsi sono le vicende del padre della vittima, di un suo amico chirurgo, presente al momento della morte (e che oggi si trova davanti all’eventualità di operarne l’assassino, a Belgrado), del bosgnacco che gli deve la vita, e che ora vive in Germania, e della sua ex fidanzata.
È proprio il padre, Ranko (un ottimo Aleksandar Berček), che sembra incarnare il messaggio del film, e rivelarne la verità più spaventosa: “Quando un uomo compie un’opera buona, questa, per le altre persone, non significa nulla”. Eppure, prosegue, “quando lanci un sasso in acqua, qualcosa succede… compaiono quei cerchi”. Come a voler dire che, nell’inumana insensatezza del dolore, la speranza che in fondo qualcosa, forse, possa essere mosso dal sacrificio di una giovane vita, perdura: è su questo incessante filo, tra speranza e disperata incomunicabilità della sofferenza, che l’intera storia corre. I cerchi del film sono molteplici: quelli tra i diversi personaggi, legati vicendevolmente dal tragico incidente che ha segnato le loro vite; quelli che come increspature d’acqua si allargano, silenziosi, sullo stagno di una Bosnia sconfitta, cercando il senso della loro stessa apparizione; quei cerchi, infine, interiori ad ognuno dei protagonisti, i quali, come si direbbe in ex-Jugoslavia, lete kao muve bez glave, volano come mosche senza testa, in cerca di una pace interiore che non può essere trovata.
Credo che questo film possa essere apprezzato dal pubblico occidentale, come in fondo bene dimostrano i premi che ha già raccolto. Esso, però, può essere pienamente compreso solo dal suo pubblico, dalla sua gente. È finalmente un film jugoslavo per jugoslavi, che narra loro essi stessi, ponendogli la domanda più elusa: a cosa è servito versare tanto sangue?
Venerdì 24 OTTOBRE 21.30
IRAN
Fasle kargadan
(La stagione dei rinoceronti)
un film di Bahman Ghobadi, con Behrouz Vossoughi, Monica Bellucci, Yilmaz Erdogan, drammatico, durata 88 min. - Turchia 2012
Nel maggio del 2009 Bahman Ghobadi, regista iraniano di etnia curda, è scappato dal suo Paese, e dalle persecuzioni a cui da tempo era soggetto a causa delle sue posizioni libertarie, sostenute in aperta polemica col governo di Teheran.
Questo - che viene a distanza di tre anni da I gatti persiani - è il suo primo film girato in esilio, tra l’Iraq e la Turchia. È ispirato alla vicenda di un personaggio reale, la cui identità, per precauzione, è coperta da uno pseudonimo. Sahel Farzan è un giovane poeta, fatto arrestare e rinchiudere dal regime khomenista. La sua storia inizia nel momento in cui, uscendo dal carcere dopo ventisette anni, scopre che alla famiglia era stata comunicata la falsa notizia della sua morte. Sua moglie Mina (Monica Bellucci) si è costruita altrove una nuova vita, non proprio felice, però, se non altro, confortata dalla presenza dei suoi due figli, un ragazzo e una ragazza, che sono gemelli, benché forse non siano nati dallo stesso padre. Nel frattempo un altro uomo ha preso il posto di Sahel, ma in quel rapporto, improntato al possesso, la donna trova soltanto una sicurezza priva di amore.
I tempi del sentimento sono ormai tramontati, cancellati da una separazione traumatica che è passata attraverso la straziante umiliazione della segregazione, della tortura, della privazione di ogni diritto. Per mezzo di un cupo collage di inquadrature furtive, strappate allo squallore e alla solitudine, Ghobadi ricostruisce la tragica parabola di una gioia che, improvvisamente, è stata fatta precipitare nel nulla. Quelle scene ci provengono dalle viscere di una terra martoriata: è l’abisso che si spalanca, nel cammino dell’esistenza, non appena si spegne la luce del sole. A un uomo, in un attimo, è davvero possibile rubare tutto, a cominciare dai tesori dell’anima. Le immagini sono impregnate del secco e gelido minimalismo dei versi del protagonista, scanditi dalle suggestioni di un simbolismo crudele, plasmato nella carne che soffre. Corpi di persone ed animali si contorcono di dolore o di piacere, mentre si mescolano con l’acqua, che è mare, pioggia oppure pianto. Il liquido si sostituisce all’aria per togliere il respiro. Lì dentro si soffoca, e la vista si annebbia. È lo straniamento dell’essere sradicato dalla propria realtà. Gli occhi sono costretti a guardare l’universo come da lontano, attraverso il filtro opaco del ricordo. Alla percezione viva del presente si sostituisce l’algida proiezione di una memoria date alle fiamme, e le cui ceneri si sono ormai raffreddate.
Il suo contenuto sono solo reliquie, messe sotto vetro, ermeticamente chiuse nella loro asettica assenza di emozioni. La fisicità si è spenta, è diventata anonima, come un cadavere irriconoscibile. Sahel, per Mina, non è più nessuno. Il suo volto non è più in grado di accendere il fuoco della passione. Persino la sua pelle ha perso la capacità di trasmettere il brivido dell’intimità condivisa, coltivata di nascosto, custodita gelosamente, al riparo dall’insensibilità del mondo. È una superficie che si offre, inespressiva, come una pagina bianca. Solo un tatuaggio, che vi imprima le parole di una poesia, può ridarle il senso compiuto di un pensiero personale ed autentico, nato da un’ispirazione e intensamente vissuto.
Rhino Season trasforma il vuoto senza rimedio in un'uniforme, acutissima nota di fondo: un suono incessante e spietato, che corrode i tratti individuali delle cose, per consegnarle all’indifferenza che tutto inghiotte, livellando il bene e il male, la ragione e il torto, ogni idea e il suo contrario.
(cinerepublic.filmtv.it)
Venerdì 31 OTTOBRE 21.30
KURDISTAN turco
Jîn
un film di Reha Erdem, con Deniz Hasgüler, Onur Ünsal, Yildirim Simsek, drammatico, durata 122 min. - Turchia 2013
Da oltre trent'anni, una guerra imperversa tra i guerriglieri e l'esercito nelle zone curde della Turchia. Come un animale in fuga, la diciassettenne Jin trascorre giorni e notti da sola tra le montagne e le foreste. Desidera raggiungere la grande città e vivere una vita che non ha mai conosciuto. Ha scelto di ribellarsi a povertà e guerra per imparare a leggere, amare e ridere. Piccola ma dotata di grande forza di volontà, affronta il deserto e arriva a destinazione, confrontandosi con difficili e opprimenti incidenti che le rendono impossibile l'adattamento.
Venerdì 7 novembre 21.30
KURDISTAN irakeno
Niwemang
(Mezza luna)
un film di Bahman Ghobadi, con Ismail Ghaffari, Allah-Morad Rashtian, Farzin Sabooni, drammatico, durata 114 min. - Francia 2007
Il film è nato da una richiesta del Ministero della Cultura austriaco, che ha proposto ad una serie di registi di girare un'opera per celebrare l'anniversario della nascita di Mozart. Con il personaggio di Mamo ho voluto mostrare un parallelo tra la vita di questo musicista curdo, la sua musica e Mozart. Tutti i personaggi del film, in qualche modo, sono rubati dalla realtà. In Kurdistan è pieno di musicisti che viaggiano come quelli che ho ritratto nel film. I personaggi non sono quindi completamente inventati, ho attinto dalla realtà per raccontare una storia che la trascendesse.