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(FEBBRAIO) -IL VENTO DELL'EST 2016

Venerdì 12 febbraio 21.30

Grzeli nateli dgeebi

(In Bloom)

Un film di Nana Ekvtimishvili, Simon Gross. Con Lika Babluani, Mariam Bokeria, Zurab Gogaladze, Data Zakareishvili, Ana Nijaradze. durata 102 min. - Georgia, Germania 2013   Georgiano sub.Ita

Un fiore adulto

In Bloom  della esordiente georgiana Nana Ekvtimishvili e il tedesco Simon Groß, alla sua opera seconda, è un racconto di formazione ambientato a Tbilisi nel 1992. Scritto da Ekvtimishvili, che si è ispirata alla sua vita, il film racconta la storia di due 14enni che crescono in una società violenta e dominata dagli uomini.

 

L’USSR è da poco caduto e la Georgia è in guerra con la provincia separatista dell’Abkhazia. Tbilisi è un luogo caotico dove le persone litigano per un posto nella fila per comprare il pane, e le strade senza legge sono piene di soldati arroganti e malviventi di ogni sorta. Alla radio, un commentatore sottolinea che “ogni georgiano dovrebbe avere un fucile” — il regalo più romantico che un ragazzo possa fare a una ragazza.

 

O almeno questo è quanto le due ragazze in fiore del titolo, Eka (Lika Babluani) e Natia (Mariam Bokeria), concludono dopo che quest’ultima riceve una pistola con un proiettile da un ammiratore, un bel ragazzo chiamato Lado (Data Zakareishvili). Un altro spasimante, Kote (Zurab Gogaladze), membro di una gang della quale tutti i ragazzi di Tbilisi sembrano far parte (o vorrebbero crearne di nuove), la rapisce dalla fila del pane e nella scena successiva la ragazza lo sposa.

 

Natia sta ovviamente solcando le stesse orme della madre, sposata con un uomo alcolizzato e violento. La sua famiglia, rumorosa e difficile, è in contrasto con quella di Eka, nella quale l’assenza di un marito e padre fa ancora più rumore, per ragioni che capiremo nell’ultima sequenza del film. La ragazza vive con la madre e la sorella maggiore, che rovista di frequente in una scatola piena di lettere, un passaporto russo e una simbolica sigaretta nella stanza della madre.

 

In Bloom è composto in larga parte da episodi della vita della due ragazze, ben descritti e messi insieme dai registi e dall’esperto montatore tedesco Stefan Stabenow (all’opera anche in Sieniawka, quest’anno in Forum alla Berlinale). L’insieme è coerente, e segue il tema delle tradizioni e i valori familiari in una società nella quella gli uomini devono essere forti e se sono violenti sono più rispettati, e le donne sono costrette a seguire molte regole, alcune dette e altre no.

…..di Vladan Petkovic

 

Venerdì 19 febbraio 21.30

Elena

Un film di Andrei Zvyagintsev. Con Andrei Smirnov, Nadezhda Markina, Yelena Lyadova, Aleksey Rozin, Andrey Smirnov   durata 109 min. - Russia 2011.

Russo sub.Ita

 

Elena è la moglie-badante del ricco Vladimir. Lui ha una figlia, nata da un precedente matrimonio, che definisce eufemisticamente "un'edonista" e che non vede mai. Anche Elena ha un figlio, ma, al contrario del marito, va a fargli visita molto frequentemente. Si chiama Sergey, ha una moglie e due figli, è praticamente un nullafacente, un fallito, sfortunato, squattrinato e non sa come far proseguire la scuola al figlio maggiore. Elena, che gli ha sempre permesso di usufruire dei suoi risparmi, tenta di convincere il marito a passargli una piccola somma di denaro. Vladimir non è d'accordo e, dopo esser stato colpito da un infarto ed essersi salvato miracolosamente, decide di mettere per iscritto le sue volontà testamentarie, cedendo tutti i suoi averi all'ingrata e scapestrata figlia. Elena, in preda al panico, decide di risolvere il problema una volta per tutte.

Non c'è un intreccio nel nuovo film di Andrey Zvyagintsev, anzi la storia è di una semplicità disarmante. L'andamento narrativo sarebbe riassumibile graficamente in una linea retta, tracciabile all'infinito. Il regista ne narra solo un piccolo segmento, quel tanto che gli basta per esemplificare la sua visione di un ciclo esistenziale ineluttabile. Elena, infatti, potrebbe essere una, cento, mille altre donne, così come tutti gli altri personaggi, nella loro completa immobilità, potrebbero avere innumerevoli volti, incalcolabili storie. Sono semplici manichini, indispensabili per tradurre in immagini e decifrare, attraverso il racconto, una straordinaria riflessione sul tempo.

Zvyagintsev è convinto che oggi non sia più possibile valutare l'agire umano sotto l'ottica dell'etica. Anzi, ritiene che questo concetto non costituisca assolutamente un criterio considerabile nell'ambito dell'odierna compagine sociale perché, a suo avviso, questa è l'era dell'indeterminatezza.

Elena non è buona, non è cattiva. È insieme moglie, madre, nonna, assassina e vedova. Parla pochissimo. È un'entità essenziale e complessa, una particella indefinibile. Non è possibile descriverla con univoca certezza: è determinata e combattuta nel medesimo momento, disperata e felice nello stesso istante.

L'indecifrabilità della protagonista è speculare alla inintelligibilità del film, un'opera radicale e raffinata che non esplicita niente, che non offre nessun appiglio certo a cui la coscienza dello spettatore si possa aggrappare. Un qualsiasi chiarimento, infatti, sarebbe un'eresia, un'offesa, una menzogna, una violenza imperdonabile nei confronti della spietata complessità della realtà inscenata. Ecco perché le parole perdono completamente la loro importanza e vengono sostituite dalla centralità del gesto, descritto in tutta la sua arcana purezza.

Il cineasta russo fotografa l'azione con la minuzia analitica di un entomologo, dando valore ad ogni singolo elemento e dimostrando un'attenzione maniacale nell'esprimere la polivalenza della realtà. Gli specchi rifrangono le immagini, le scompongono e gli occhi dello spettatore tentano di coglierne l'essenza, il principio vitale. Le ombre scolpiscono volti e oggetti, immersi in spazi che, per la loro estrema staticità, ricordano le impalpabili atmosfere delle tele di Edward Hopper. La ricerca del riflesso è costante: nelle superfici del treno, nei finestrini dell'automobile, sui vetri delle finestre, sulle pareti lucide della cucina, sulle piastrelle del bagno. Non c'è luogo in cui il regista non fornisca punti di vista alternativi, costituendo una fitta, immobile ragnatela d'immagini, di suoni, di atmosfere, in cui ogni emozione è trattenuta, sottaciuta, soffocata. Eppure, da questa apparente freddezza statica che sembra frenare ogni forma di risposta passionale, nasce un turbamento prorompente che genera a sua volta un labirinto di pathos, riflessione e catartica commozione.

Nadezhda Markina regala un'interpretazione che toglie il fiato.

Zvyagintsev (già Leone d'Oro a Venezia nel 2003 con "Il Ritorno"), ha vinto il premio speciale della giuria nella sezione "Un Certain Regard" del Festival di Cannes.

 

Venerdì 26 febbraio 21.30

Izgnanie 

(The Banishment )

Un film di Andrei Zvyagintsev. Con Maria Bonnevie, Aleksandr Baluyev, Konstantin Lavronenko, Dmitri Ulyanov   durata 150 min. - Russia 2006.

Russo sub.Ita

 

Dopo la vittoria a Venezia con "Il ritorno" nel 2003 , Andrey Zvyagintsev ha presentato al festival di Cannes del 2007 il suo secondo lavoro, "The Banishment", tratto dal racconto "The Laughing Matter" di William Saroyan, autore e drammaturgo armeno-americano. "The Banishment" è una prosecuzione artistica perfettamente coerente con il percorso cinematografico del suo autore; indubbiamente è un'opera difficile, ellittica, tutt'altro che immediata nel contatto con lo spettatore.

Infatti la tendenza di Zvyagintsev a universalizzare il percorso dei suoi personaggi si radicalizza evidentemente: in partenza sembra di assistere a un dramma familiare venato di noir, poi, con il procedere della storia, il tessuto narrativo si assottiglia gradualmente fino alla completa neutralizzazione, diventando exemplum, paradigma.

 

Il regista decide di seguire la strada più ardua: procede per sottrazione. E così i personaggi si spogliano delle proprie specificità, i dialoghi si laconizzano fino al silenzio, il vuoto prevale sul pieno. Resta solo l'immagine, in tutta la sua purezza. Questa affascinante verginità espressiva produce però una rappresentazione più ermetica e complessa che si estrinseca in icone, simboli. Il superfluo è nascosto, tutto ciò che non è strettamente finalizzato allo scopo ultimo viene rimosso, sottaciuto con estrema accortezza.

 

Il cineasta russo plasma le forme servendosi con consapevolezza della luce e del colore, definendo l'immagine fino a rendere la sua consistenza lucida, fluida, metallica. Gli accostamenti cromatici variano di sequenza in sequenza, preferendo tendenzialmente colori chiari, freddi e contrastivi (geniali reminiscenze della pittura manierista). E non si tratta di una mera ostentazione di formalismo: anche le diverse colorazioni hanno un preciso ruolo simbolico, come nel caso della tinta del vestito della moglie del protagonista che varia in relazione al suo stato mentale.

 

Poi gli echi tarkovskiani, incredibilmente suggestivi, sono percepibili soprattutto nel rapporto uomo-natura, descritto con movimenti di macchina lenti e precisi, tramite una serie di inquadrature rigorosissime che, al posto di limitarsi a descrivere il paesaggio, riportano l'ideale punto di vista della natura circostante, partendo dall'interno di enormi distese di grano, dalla corteccia degli alberi, o dal livello di vastissimi piani erbosi. Il rapporto diretto tra ambientazione e personaggi, però, si inverte quando sono i rapporti interpersonali il vero soggetto dell'inquadratura. I contatti umani vengono sempre filtrati dall'interposizione di vetri, finestre, superfici trasparenti o riflettenti che - raffinati rimandi bressoniani - raggelano e geometrizzano ulteriormente il contenuto dell'immagine.

 

Eppure, nonostante l'emotività dei personaggi sia ridotta ai minimi termini, in "The Banishment" non c'è una sequenza che non trapeli una fortissima empatia nei confronti di un'umanità studiata antropologicamente in tutte le sue forme e le sue espressioni. L'attendibilità e l'esattezza di questa analisi è però inscindibile dalla veste formale dell'opera. Il ricco e complesso linguaggio visivo infatti costituisce l'unico codice valido per comprendere gli scarni e stringati congressi verbali. La lingua delle immagini, specialmente quella di Zvyagitsev, è molto ostica, ma le antinomie che la compongono sono dotate di un irrefutabile fascino ipnotico ed evocativo. Si pensi, per esempio, all'aborto forzato della protagonista accostato all'immagine dei figli che compongono tanti frammenti di un puzzle dell'Annunciazione di Leonardo o ai continui, estenuanti riferimenti biblici della sceneggiatura.

 

Il finale, di astrazione metafisica, è forse uno dei momenti più alti del cinema contemporaneo. La colonna sonora di Arvo Pärt - capolavoro nel capolavoro - vi contribuisce non poco.

 

Andrey Zvyagintsev vola alto. E incanta.

di Vincenzo Lacolla

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