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FEBBRAIO

This Is England
                           RASSEGNA DI CINEMA britannico
                          venerdì 4 febbraio 21. 30
The Football Factory
(inglese- subtitle italiano)
 
Un film di Nick Love. Con Danny Dyer, Frank Harper, Neil Maskell, Roland Manookian, Jamie Foreman, Tamer Hassan Drammatico, durata 90 min. - Gran Bretagna 2004.
Tommy ha quasi trent'anni e due sole aspettative nella vita: andare al pub con gli amici la sera e pestare i tifosi della squadra avversaria nel fine settimana. Quando il sorteggio mette di fronte in coppa il suo Chelsea con gli arcirivali del Millwall, l'attesa per il giorno del grande scontro si fa sempre più insopportabile.
       
Nick Love (mai cognome fu più sbagliato: in questo film troviamo odio e violenza, di amore, nessuna traccia), nel 1996 sicuramente deve aver visto e amato Trainspotting. Come il film di Danny Boyle era infatti una psicotica ricostruzione dell’Inghilterra malata sul finire degli anni Ottanta, questo Football Factory è, allo stesso modo, una visione della fine del decennio successivo, in cui il male non è più la droga (che comunque c’è, e a fiumi), ma il calcio. O meglio un certo tifo calcistico, lontano anni luce da quello recentemente ritratto da Ken Loach in Il mio amico Eric. Qui i tifosi non si riuniscono per aiutare un amico, e nemmeno per seguire la squadra del cuore. L’unico obiettivo è, come dice a un certo punto Thomas, il protagonista, «spaccare teste per divertimento».
   
   L’inizio del film è un ulteriore evidente omaggio a Trainspotting, con il ritmo acido delle musiche dei 
Primal Scream a sostenere le violente immagini dentro e soprattutto fuori dagli stadi inglesi. I protagonisti sono loro, quegli hooligans che, soprattutto nei due decenni scorsi, hanno reso celebre il calcio inglese per la violenza dei suoi tifosi (oggi, soprattutto con una politica di prezzi che ha tagliato fuori dagli stadi buona parte della lower class, non è più così). Gli hooligans sono fiorai, operai, lavoratori che aspettano solo il weekend per sfogare la loro frustrazione. Perché il giorno della partita si rompono le regole e la persona con cui si hanno avuto affari (loschi) il giorno prima diventa il tuo nemico, senza alcuna ragione. Football Factory mostra questo mondo, e lo fa senza volerne dare eccessive interpretazioni sociali. Questo è allo stesso tempo un pregio e un limite. Un pregio, perché è il mezzo che mantiene alta la tensione per tutto il film, un limite perché alla fine fa sentire la mancanza di qualcosa che possa andare oltre agli scontri e alle botte.
   
   Love non è però interessato alla descrizione psicologica dei suoi protagonisti. Gli basta una frase nel bel finale per suffragare la sua tesi sull’impossibilità, per un certo tipo persone, di provare una vita diversa da quella che stanno vivendo. Perché gli hooligans sono così, birra e pugni, prendere o lasciare, sapendo già da prima che «certo che ne valeva la pena, cazzo!»
 
venerdì 11 febbraio 21.30
It's All Gone Pete Tong
(inglese- subtitle italiano)
Regia: Michael Dowes
Interpreti: Paul Kaye, Beatriz Batarda, Kate Magowan, Mike Wilmot
La tragica parabola del leggendario dj Frankie Wilde. Dalle mega discoteche di Ibiza e dai contratti milionari con le case discografiche alla sua battaglia contro la sordità, una caduta nel baratro terminata con la sua misteriosa scomparsa dalle scene. Ma quando la tragedia sembra compiuta, ecco il colpo di genio.    
Forse non ci avrete mai fatto caso, ma il mondo della notte e il popolo delle discoteche non è ancora stato analizzato e descritto dal cinema, sebbene si tratti di un fenomeno rilevante ed estremamente attuale. I motivi sono diversi, ma una delle riflessioni che capita spesso di fare quando un film tocca marginalmente questo universo è rivolto alla difficoltà che richiede per essere filmato. La discoteca è un non luogo del divertimento, un ambiente collettivo dove si intrecciano relazioni sociali ma dove la massa è in realtà composta da monadi indipendenti.
   
   In questo aspetto la discoteca è come il cinema, un intrattenimento collettivo vissuto in modo prevalentemente individuale. Difficile rendere in modo visivo un luogo semanticamente così complesso, situazione aggravata dalla continua contrapposizione di oscurità e di 
luci fortissime. Non è troppo lontano dal vero definire che le scene ambientate in una discoteca possono essere intese come una sorta di banco di prova per un regista, un esame attraverso il quale molti passano ma pochi escono indenni. Michael Dowse accetta la sfida e gioca la carta del falso documentario per raccontare la storia di un deejay di fama internazionale, descrivendo la sua vicenda come una sorta di Barry Lyndon della musica tecno. Il mezzo linguistico è funzionale nel raccontare un uomo e la sua leggenda, ma anche nel presentare il misterioso caso della sua improvvisa scomparsa dalla scena pubblica. La macchina da presa si insinua nella vita di Frankie Wilde come una mosca sul muro, ci mostra la sua vita come se fosse vista attraverso l’occhio di un testimone (anche se gran parte del film viene raccontata con il linguaggio della fiction pura). L’evoluzione drammatica del personaggio lo conduce agli estremi della parabola del successo, ma solo quando tutto va male 
(e forse non potrebbe andare peggio) un’intuizione permette di risalire la cresta dell’onda, anche se in un mondo completamente differente.
   
   Il titolo del film fa riferimento a una frase usata come slang in Inghilterra alla fine degli anni Novanta e riferita al dj della BBC Pete Tong (che recita nei panni di se stesso nel film) e che significa “sta andando tutto male”. Il punto di riferimento cinematografico più evidente a cui lo stesso Michael Dowse ha fatto rierimento è il mockumentary This is Spinal Tap, dedicato a sua volta a una finta rock band. It’s all gone Pete Tong è tra i pochi film ambientati a Ibiza in cui non ci sono solo fatti, strafatti e strafighe, anzi mantiene molto di più di quello che promette.
venerdì 18 febbraio 21.30
This Is England
(inglese- subtitle italiano)
Un film di Shane Meadows. Con Thomas Turgoose, Stephen Graham, Jo Hartley,
durata 98 min. - Gran Bretagna 2006.
 
Tempo d'estate, la scuola è finita, e il piccolo Shaun, preso in giro dai compagni di scuola, viene adottato da un gruppo di ragazzi sbandati, più grandi lui. Lo accolgono e prima d'ogni altra cosa lo «vestono» della loro divisa per marcare socialmente, e agli occhi di tutti, l'ambito e l'appartenenza: capelli a zero, Doc Martins ai piedi e camicie a quadri abbottonate fino al collo. Così conciati, mostrano la loro diffidenza per il mondo, mostrano la loro differenza dal mondo. Bevono, fumano qualche canna, spaccano qualche casa abbandonata ma sono, in cuor loro, dei buoni. A sobillare il gruppo e a dare un senso politico e un'azione violenta alle loro divise para skinheads arriva un ex galeotto, di rabbia vera scosso. Chiede al gruppo di definirsi e portarsi più in là, verso il cuore di un razzismo vissuto come protesta sociale. Alcuni accettano, altri no. II piccolo Shaun aderisce, per vendicare il padre morto alle Faulkland.
Lasciamo qui la parabola, che avrà il suo corso e sarà formativa, per dire che This is England illumina da dentro le ragioni profonde del disagio razzista, vissuto più come protesta per condizioni di vita e vuoto dell'anima, che come vero credo ideologico. Al piccolo raduno razzista s'assiste al discorso di un politico di destra. Lì è la chiave del film li delirio razzista dell'uomo in grigio (che arriva in Jaguar, mentre gli altri su rottami barcollanti) trova in ognuno degli astanti un motivo diverso, ma certo lontano dalla sporca matrice ideologica. Nessun relativismo sociale, intendiamoci, ma una foto vera e compassionevole del disagio e crisi di un'epoca e generazione. Le facce sono la forza del film (i cui attori - dal piccolo e strepitoso Shawn di ThomasTurgoose a tutti gli altri, Joseph Gilgun, Kieran Hardcastle, George Newton, Jack O' Connell - verificano la grandezza della scuola inglese).
 
venerdì 25 febbraio 21.30
In the Loop
(inglese- subtitle italiano)
Un film di Armando Iannucci. Con Peter Capaldi, Tom Hollander, James Gandolfini, Anna Chlumsky, Gina McKee.
durata 106 min. - Gran Bretagna 2009.
 
Un film magnifico, fondato sulla sapienza (di autori, regista, cast) nella gestione del compromesso: per liquidare la faccenda senza troppi giri di parole, si potrebbe dire che In the Loop è il classico film capace di far ridere ma che non può non far pensare, riflettere, eventualmente indignare. Non si tratta certo di cinema militante alla Michael Moore (anzi, le peculiarità del film di Armando Iannucci ricordano più film come La seconda guerra civile americana di Joe Dante), In the Loop si dimostra ben più arguto e sottile nella capacità di sfruttare il genere, le sue convenzioni e non ultimo lo spettatore per veicolare messaggi e significati. Senza scadere nel subdolo o nella faciloneria; piuttosto bilanciando genialmente tutte le modalità espressive offerte dal cinema in modo da esaltare una sceneggiatura a orologeria, godibile, paradossale e allo stesso inquietante. Con un'esilarante vicenda fantapolitica in primo piano, una serie di dialoghi e personaggi irresistibili - merito anche di un cast pressoché sconosciuto ma, va da sé, strepitoso, Peter Capaldi su tutti - e una serie di significati secondi impressionante.
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