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tutti per uno

casa del popolo di settignano
cinemAnemico X KIDS
venerdi 30 marzo ore 21.30 nella saletta dell'associazione - LA FONTE-
proiezione del film -TUTTI PER UNO-
Sugli schermi. Il regista francese Romain Goupil affronta il tema dei clandestini con i toni leggeri delle storie adolescenziali
Tutti per uno
Bambini alleati in una storia di amicizia senza retorica

Perché in Italia non siamo capaci di fare film così? Così simpatici e piacevoli, ma anche così ancorati alla realtà, così capaci di rileggere con gli strumenti del cinema (qui, l’andatura della commedia) gli snodi a volte dolorosi e tragici della nostra società. E così ben interpretati. Perché? La domanda non è facile retorica: la vitalità di una cinematografia si misura pochissimo dai «capolavori» e molto di più dai film come questi, ambiziosi nel progetto ma anche contenuti nella produzione, con qualche volto riconoscibile (qui Valeria Bruni Tedeschi e, per lo spazio di una posa - di una scena - Hyppolite Girardot)ma senza il bisogno di far ricorso alle facce popolari della televisione, che inevitabilmente finiscono per trasformare la recitazione in «esternazione», in «spettacolo».

Tutti per uno di Romain Goupil (infedele ma azzeccata ri-titolazione per l’originale Les Mains en l’air, le mani in alto, il cui senso si capirà solo alla fine del film) è una commedia adolescenziale che però affronta un tema per niente leggero o futile, come l’espulsione dei «sans papiers», i clandestini «senza documenti». E lo fa ribaltandone l’ottica: non dalla parte degli adulti ma da quella dei figli, che con le espulsioni rischiano di perdere i compagni di scuola. Il film è infatti ambientato in un istituto elementare del diciottesimo arrondissement di Parigi, quartiere popolare verso nord, quello con Pigalle e il Sacré-Coeur, dove l’immigrazione ha una presenza importante. E quando Blaise, Alice, Claudio e Ali non vedono più il compagno Youssef, costretto a tornare nel Paese d’origine per seguire la famiglia espulsa, cominciano a pensare a come evitare la stessa sorte a Milana, figlia di immigrati ceceni anche loro a rischio espulsione.

Naturalmente il film non cancella i comportamenti dei grandi: ci sono le assemblee dei genitori, l’impegno delle maestre e la decisione della madre di Blaise e Alice, Cendrine, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, di prendersi in casa Milana, per spacciarla come una specie di «figlia» di fronte ai poliziotti che setacciano il quartiere. E ci sono anche le diverse posizioni «politiche» degli adulti, che si intrecciano con i legami affettivi e le tensioni matrimoniali: la «dura e pura» Cendrine non condivide la linea compromissoria del marito (interpretato dallo stesso regista) che vorrebbe chiedere aiuto a un vecchio amico che lavora in comune («sempre favori!»), per non parlare della posizione «reazionaria» del fratello Rodolphe (Girardot).

Ma questo «teatrino delle idee» non prende mai il sopravvento sulla storia, che si può permettere anche una lunga divagazione vacanziera, con i ragazzi in Bretagna a divertirsi e a cementare la loro amicizia, mentre il film si prende i tempi necessari per raccontarci il carattere di Cendrine, la sua determinazione «civile» e insieme la sua lealtà verso i figli e i loro amici. Così che, al ritorno dalle vacanze, quando i fatti precipitano, la paura per l’espulsione di Milana aumenta e i ragazzi mettono in atto il loro piano - nascondersi con la loro amica in un posto segreto e sicuro - e il comportamento della madre non sembrerà allo spettatore strano così come potrà apparire al marito o alle forze dell’ordine.

Anche perché in primo piano ci saranno sempre le azioni dei quattro piccoli «ribelli» e del quinto amico che non li ha potuti raggiungere: le paure dei genitori, l’apprensione delle insegnanti, la rabbia della polizia (che sembra incapace di risolvere il caso), persino la reazione dei media che iniziano a registrare altri casi simili, non sono mai al centro del racconto, sono mostrati «di sponda», lasciando al centro la determinazione e anche un po’ l’irresponsabilità dei piccoli fuggiaschi. Così che il tono del film non è mai quello dello spaccato sociale ma piuttosto della commedia infantile (viene da pensare alla Guerra dei bottoni), con il suo necessario corollario di simpatia, di allegria e di antiretorica.

E il fatto che tutta la storia sia raccontata in flashback da una Milana ormai integrata e coi capelli bianchi, che a volte nemmeno si ricorda bene quello che era successo in quei giorni concitati, finisce per dare al film un ulteriore senso di ironico distacco, non tanto dalla drammaticità dei fatti polizieschi ma della centralità del tema immigrazione: quello che all’inizio del Duemila sembrava uno scontro di civiltà da affrontare con la forza delle espulsioni, nel 2067 (quando l’invecchiata Milana si rivolge allo spettatore) finisce per essere un ricordo di un periodo della vita. Turbolento forse, ma certamente superato e ormai dimenticato.

Paolo Mereghetti
31 maggio 2011

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