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MARZO

 

 

REPORT-IAMO

 LA GUERRA

( La verità è la prima vittima della guerra )

 

Quanto di vero e quanto di falso c'è nell'informazione?


Venerdì 2 MARZO 21.30

TRIAGE

(inglese- subtitle italiano)

Un film di Danis Tanovic

Con Colin Farrel, Kelli Reilly,  Jamie Sives,

Paz Vega, Chirstopher Lee Drammatico, durata  96 min.

Irlanda, Francia, Spagna, 2009.

 

Mark e David sono due fotoreporter di guerra impegnati nei luoghi degli scontri fra iracheni e curdi sul finire degli anni Ottanta. Amici di lungo corso, hanno un approccio molto differente alla vita e al modo di concepire un'istantanea: David ricerca la bellezza delle forme anche nelle zone più martoriate, mentre Mark cattura ogni atrocità senza altro filtro che quello dell'obbiettivo della sua fotocamera. Quando il conflitto comincia a intensificarsi e il popolo curdo si prepara all'offensiva, David decide di tornare a Dublino, dove lo aspetta la moglie prossima a partorire, mentre Mark vorrebbe documentare il proseguire dello scontro da vicino. In seguito ad un incidente, Mark viene ferito e trasportato nel campo di soccorso dove l'unico medico presente, il dottor Talzani, decide chi vive e chi muore applicando un rigido triage, sistema di smistamento dei pazienti che prevede un colpo di pistola per i feriti più gravi. Una volta rientrato a Dublino, Mark porta con sé un progressivo decadimento fisico e psicologico causato da un ricordo che non intende far riemergere.

 

Il film “Triage” diretto dal regista Danis Tanovic, racconta l’inumanità della guerra dal punto di vista di un fotoreporter. Ambientato alla fine degli anni ’80 nel Kurdistan martoriato da Saddam, il film “Triage” racconta la storia di un fotoreporter che documenta la guerra cercando di non farsene coinvolgere, ma che si ritrova a fare i conti con la propria capacità di convivere con il dolore. Il film “Triage” si può scomporre in due parti principali: l’ esperienza della guerra del fotoreporter Mark (interpretato da Colin Farrell) nella fase pre e post-trauma. Nella prima parte del film “Triage” vengono affrontati gli orrori fisici della guerra, nella seconda parte del film vengono evidenziati gli orrori psicologici e i ricordi della guerra. Il tutto però non viene raccontato dal punto di vista di un soldato, ma dal punto di vista di un fotoreporter. Nel film “Triage” vengono esposte anche considerazioni sul ruolo dei media e sulle responsabilità occidentali della guerra. “Triage” è un film che offre una riflessione profonda sulla vita e la morte. “Triage” (dal francese: smistamento) è la pratica con cui negli ospedali si attribuisce un colore (rosso, giallo, verde e bianco) per indicare il livello di gravità del paziente ricoverato. Nel film “Triage” questa parola assume un significato molto più atroce e drammatico: il fotoreporter Mark Walsh (Colin Farrell) offre un reportage su un ospedale da campo curdo senza mezzi e medicine sufficienti, in cui il medico sceglie tra due soli colori, giallo per chi ha speranza di vivere, blu per chi non ne ha. Se il medico decide per il blu, allevia le sofferenze con un colpo di pistola

 

Venerdì 9 marzo 21.30

nema problema

(italiano)

    Un film di Giancarlo Bocchi

    Genere Drammatico

    Produzione Italia. (2004)

    Durata 96 minuti circa

Lorenzi, un famoso inviato di guerra, vuole scoprire a tutti i costi l'identità del misterioso "Comandante Jako", ritenuto autore di gesti eroici ma anche di orrendi crimini. Non riuscendoci, il giornalista comincia ad inventare storie manipolando la verità. Bocchi, dopo il documentario "Morte di un pacifista" fa il suo dignitoso esordio al cinema con un film che affronta un tema importante come quello dell'informazione dai luoghi di guerra.

8 dei 14 documentari che G. Bocchi ha filmato e diretto prima di esordire nella fiction sono sulla Iugoslavia; i primi 5 realizzati nel 1994 a Sarajevo. Racconta, dunque, ciò che conosce bene. Scritto con Arturo Curà e Luigi Riva, anch'egli giornalista, è un film "dentro" la guerra. Che sia contro, è ovvio. 4 i personaggi principali legati tra loro da piccole verità, grandi menzogne, interessi. Ognuno usa, o cerca di usare, gli altri per i propri scopi, imposture, menzogne. È un film di azione quasi senza azione. È impregnato di violenza, ma senza combattimenti: l'unica uccisione in diretta è ambigua e in campo lungo. Sembra un film di viaggio, ma è di spostamento. Non ha né eroi né vincitori. È parlato, e mentito, in 4 lingue, ma non ha bisogno di sottotitoli. È un film dove il togliere è più importante del mettere, il non detto più di quel che si dice, il fuori campo più di quel che si mostra. Il sottotitolo è "La verità è la prima vittima della guerra". Di tutte le guerre. Nema problema, non c'è problema. No problem è ormai una asettica formula anglo-americana di congedo o uno slogan pubblicitario. No hay problema si dice nei paesi dell'America Latina dove, anche in tempo di pace, i problemi sono infiniti. "Nella ex Iugoslavia è una suprema dichiarazione metafisica, pronunciata secondo l'umor nero che governa quella terra irrimediata." Lo scrive Adriano Sofri che – con Ettore Mo e Bernardo Valli, giornalisti attendibili e onesti – è uno dei "garanti" della sceneggiatura desunta, pubblicata dal pugliese Piero Nanni. Antidoto ai film bellici di Hollywood (e altrove) in cui la guerra diventa spettacolo. Girato in Bosnia-Erzegovina.

sabato 3 marzo

ore 16.00

RESTREPO

Un documentario di

Tim Hetherington e Sebastian Junger

Con gli uomini del Secondo plotone, 503rd Infantry

Regiment, 173rd Airbone Brigade Combat Team,

dell’Esercito degli Stati Unitidurata 93 minStati Uniti, 2010

 

Vicitore del Grand Jury Prize for a Documentary al Sundance Film Festival 2010, il documetnatio Restrepo racconta la cronaca dei soldati americani inviati nella Valledel Koregal, considerata una delle zone più pericolose dell’intero Afghanistan.

Tra il maggio 2007 e il luglio 2008, i documentaristi Tim Hetherington e Sebastian Junger hanno scavato nelle vite dei Secondo Battaglione della 503ma Compagnia di Battaglia del Reggimento di fanteria, di stanza a Restrepo. I registi hanno condiviso i doveri dei soldati, riprendendo oltre 150 ore di combattimenti, di momenti di relax e di routine militare, di scherzi tra commilitoni e di terrore nei momenti più difficili, per documentare la vita di tutti i giorni su un fronte così duro.

Hetherington e Junger hanno dato così vita a un film come non si era mai visto prima. Coraggio e frustrazione, musica rock e colpi di cannone, tutto è stato condiviso con i soldati e, per la prima volta, lo sarà anche con il pubblico che vedrà il documentario.

 

ore 17.45

ARNA’S CHILDREN


(Israele, Palestina, Paesi Bassi, 2003, 84')

un film di Juliano Mer Khamis

scritto e diretto da
Juliano Mer Khamis e Danniel Danniel

prodotto da  Osnat Trabelsi e Pieter van Huystee

Yussef compie un attacco suicida nel 2001. Ashraf viene ucciso dall'esercito israeliano nel 2002. Alla, a capo di un gruppo di resistenti, trova la morte nel 2003. Il regista, che li ha filmati quando erano promettenti attori bambini nel gruppo teatrale fondato insieme alla madre Arna, nell'aprile del 2002 torna al campo profughi di Jenin, per capire che cosa ne è stato dei ragazzi che ha conosciuto e amato...

Juliano Mer Khamis, figlio dell'ebrea israeliana Arna Mer e del palestinese Saliba Khamis, è oggi uno degli attori più famosi di Palestina-Israele.
Durante la prima Intifada sua madre Arna dà vita a un programma educativo alternativo all'interno del campo profughi di Jenin.
L'occupazione israeliana ha infatti distrutto il programma ufficiale e Arna intende risarcire i palestinesi del danno subito. Tra le varie attività del centro vi è lo "Stone Theatre", un laboratorio teatrale diretto da Juliano. A otto anni dalla morte della madre, cinque anni dopo la conclusione del progetto teatrale, Juliano torna nel campo di Jenin e scopre la tragica storia dei "ragazzi di Arna".


Arna's Children è un documentario che spezza con tenera brutalità ogni falsa contrapposizione. Dopo aver visto crescere, sognare, e in alcuni casi morire, i "ragazzi di Arna" cui fa riferimento il titolo, spettatrici e spettatori di quest'opera che poco concede alle idee ricevute, incluse quelle veicolate da certo rassicurante pacifismo, si trovano costretti a guardare a occhi ben aperti un'evidenza che i media si accaniscono a rendere opaca: dietro la favola cupa del terrorismo suicida ci sono persone in carne e ossa, volti, nomi, storie familiari, speranze, paure. Se ricomposizione o riconciliazione ci sarà, dovrà passare da questo sguardo umano e umanizzante sull'Altro.

Arna's Children ha partecipato a numerosi festival cinematografici e vinto una serie di premi internazionali tra cui:

- nel 2004, ex-equo, Best Doc Feature Award, Tribeca Film Festival, New York
- nel 2004, FIPRESCI Best First Documentary Feature, Canadian International Documentary Festival, Toronto, Ontario, Canada

 

sabato 10 marzo

 

PARLIAMONE !

 

ore 16.00

BURMA VJ

Un documentario di

Anders Østergaard

conGeorge W. Bush, Ko Muang and Aung San Suu Kyi

 durata 84 min.Danimarca, 2008

.Burma VJ. Già il sottotitolo, Reporting from a Closed Country (ossia, reportage da una nazione isolata), spiega bene qual è la situazione: descrivere il feroce regime militare che ormai da più di 20 anni affligge la Birmania e la sua donna simbolo, il premio Nobel Aung San Suu Kyi, durante le proteste represse nel sangue del settembre del 2007.
Tra i tanti meriti di questo fantastico documentario-collage, c'è sicuramente quello di farci capire come ormai il giornalismo-reportage non sia assolutamente un'esclusiva dei professionisti occidentali, ma si stia spostando verso il coraggioso lavoro degli amatori (basti pensare anche all'Iran), che grazie ai costi sempre più ridotti delle attrezzature e alle motivazioni personali di libertà riescono a compiere un lavoro straordinario e a tenere informato il mondo. Il tutto, grazie a una stazione televisiva indipendente che, nonostante la povertà di mezzi, rifornisce di materiale le ben più blasonate BBC e CNN.
In questo senso, la videocamera nascosta spesso nella borsa, altro a spiegarci chiaramente i rischi che corrono queste persone, è una metafora perfetta delle difficoltà che si affrontano ogni giorno. Ma se qualcuno avesse dei dubbi sulla situazione, basta la prima scena, in cui una persona viene portata via per una semplice protesta, a far capire il clima politico in Birmania.
Ma sarebbe sbagliato esaltare questo documentario soltanto per le straordinarie ed emozionanti immagini che ci propone, come quella dei monaci in marcia che danno il via alla protesta popolare. Il lavoro del regista Anders Østergaard ci propone infatti una fotografia assolutamente coinvolgente, anche nelle scene ricostruite. E La musica di sottofondo crea un'atmosfera perfetta per l'argomento trattato.
In tutto questo, la sorpresa maggiore del documentario è il modo in cui riesce a essere avvincente nel suo racconto, nonostante purtroppo si sappia già come andrà a finire, grazie a un ritmo perfetto. E un finale intelligente e aperto ci fa capire che, nonostante le difficoltà e la repressione del regime, la partita non è ancora chiusa.

 

ore 17.30

WAR PHOTOGRAPHER

Un documentario di  Christian Frei

con James Nachtwey, Christiane Amanpour,

Hans-Hermann Klare  durata 96 min.USA, 2001.

James Nachtwey non è un nome noto al grande pubblico ma chi si interessa di fotogiornalismo sa che si tratta di uno dei più importanti fotoreporter di guerra tuttora in circolazione, una vera e propria leggenda vivente.
Profondamente colpito dalle immagini che provenivano dal conflitto del Vietnam, Nachtwey iniziò a dedicarsi negli anni settanta alla fotografia di reportage, percorrendo una lunga carriera che lo ha visto nelle zone più difficili: dall’Irlanda infiammata dal terrorismo dell’IRA, alla Palestina, dall’Afghanistan alla Somalia o il Kosovo.

C’è una sua frase che trovo davvero emblematica : “Society problems can’t be solved until they are identified”. Ė proprio questo il nocciolo dello spirito del fotoreporter di guerra, la spinta all’identificazione, attraverso immagini capaci di trasmettere a tutti la gravità di quei conflitti che non possono essere dimenticati ma che anzi urge assolutamente risolvere.

James Nachtwey è nato a Syracuse, stato di New York, nel 1948 ed è cresciuto nel Massachusetts. È profondamente segnato, nella sua scelta di diventare fotografo, dalle immagini della guerra nel Vietnam e del movimento per i Diritti Civili. Ha cominciato a lavorare come fotogiornalista nel 1976 per un quotidiano locale del Nuovo Messico. Nel 1980 si trasferisce a New York dove comincia a lavorare come fotografo freelance.

Nel 1981 Nachtwey ha svolto il suo primo incarico all'estero in Irlanda durante lo sciopero della fame di alcuni militanti dell'IRA. Da allora, Nachtwey ha dedicato sé stesso a documentare guerre e conflitti sociali. La sua attività di fotoreporter si è svolta in numerosi paesi quali El Salvador, Nicaragua, Guatemala, Libano, Cisgiordania(West Bank), Gaza, Israele, Indonesia, Thailandia, India, Sri Lanka, Afghanistan, Filippine, Corea del Sud, Somalia, Sudan, Rwanda, Sudafrica, Russia, Bosnia, Cecenia, Kosovo, Romania, Brasile e Stati Uniti.

Nachtwey lavora per il Time dal 1984, ha lavorato per l'agenzia Black Star dal 1980 al 1985 ed è stato membro della Magnum Photos dal 1986 al 2001. Nel 2001 è diventato uno dei membri fondatori dell'Agenzia VII.

 

ore 19.00

Dibattito

RE-PORTIAMO LA GUERRA

L'informazione e i conflitti, tra giornalismo free lance,  reporter "embedded" e social network

Come è cambiato negli anni il giornalismo di guerra, cosa è diventato oggi? Come vengono viste dalla gente “comune” le immagini che arrivano dai luoghi di conflitto?

Ne parleremo con: giornalisti, fotografi e registi.

 

ore 20.00

CENA

 

INGRESSO LIBERO SOCI ARCI

www.cinemanemico.net

cinemanemico@yahoo.com

 

 

COMMENTI

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